La grande mostra “Arte lombarda dai Visconti agli Sforza. Milano al centro dell’Europa” è accompagnata da un corposo catalogo che ne rispecchia appieno vastità e coerenza espositiva.
Il volume, come l’esposizione, approfondisce in più occasioni anche la stretta relazione formale e concettuale tra arti maggiori e arti applicate, figlie di una medesima committenza.
In apertura troviamo un intervento dei curatori Mauro Natale e Serena Romano che, riallacciandosi alla mostra di analogo soggetto allestita nelle sale di Palazzo Reale nella primavera del 1958, mettono in luce le ragioni che oggi, a più di cinquant’anni di distanza, spingono a un riesame di quel fecondissimo periodo storico-artistico che ha visto la Lombardia dialogare con le più importanti e aggiornate corti d’Europa.
Per chi sia interessato ad approfondire gli aspetti salienti della storica esposizione del 1958, il catalogo propone in coda una scheda curata da Laura Binda, sintetica ma ricca di spunti e segnalazioni bibliografiche. In essa si dà conto dei cataloghi e degli studi che furono pubblicati in occasione della mostra, dei filmati girati a fini promozionali, della campagna fotografica realizzata da Mario Perotti e, infine, dei materiali documentari conservati sia negli archivi della Soprintendenza e del Comune di Milano sia presso gli archivi degli studiosi coinvolti nella gestazione della mostra, a partire da quelli dei curatori Gian Alberto Dell’Acqua e Roberto Longhi, attualmente in fase di riordino.
Per un inquadramento del contesto storico-culturale sono molto utili i tre contributi di Edoardo Rossetti, Marco Albertario e Marie-Pierre Laffitte. Le questioni legate alla committenza sono affrontate da Rossetti nel saggio “Poi fu la bissa. Due dinastie, una città e non solo”, in cui si sottolinea come, pur senza ridimensionare il ruolo dei Visconti e degli Sforza, sia necessario adottare una visione pluralista del mecenatismo lombardo dell’epoca: Pusterla, Terzaghi, Alciati, Borromeo, Trivulzio, per citarne solo alcuni, sono i nomi di famiglie ben attente a perseguire una precisa politica artistica per esaltare il proprio prestigio o per attestare la propria ascesa sociale. Inoltre, con un occhio attento alla topografia cittadina, l’Autore svolge un’analisi dei cambiamenti urbanistici di Milano nel passaggio dalla dominazione viscontea a quella sforzesca, che al fine di garantirsi consenso e fedeltà inaugurò una politica di donazioni di terreni e palazzi, dando così avvio a un nuovo fermento edilizio e a una rinnovata vitalità artistica.
All’esposizione di una serie di medaglioni marmorei con effigi viscontee e sforzesche è legato il saggio di Albertario dal titolo “Per un ‘profilo’ dei duchi di Milano”, che analizza il problema della centralità del ritratto ufficiale del signore come forma di legittimazione del potere, ufficialità che – in costante ricerca di un equilibrio tra naturalismo e idealizzazione – si esprime nella scelta del ritratto di profilo per il suo evidente richiamo al mondo classico.
Infine, il contributo di Laffitte “Da Pavia a Parigi, le alterne fortune dei manoscritti dei duchi di Milano”, indaga sul cospicuo patrimonio librario accumulato dai Visconti e dagli Sforza nel Castello di Pavia, e ora in gran parte conservato alla Bibliothèque nationale de France, che ha generosamente prestato alla mostra ben undici codici, come quello contenente l’elogio funebre del primo duca di Milano Gian Galeazzo e una genealogia della famiglia Visconti, splendidamente miniato da Michelino da Besozzo con uno stile già imbevuto della coeva produzione francese.
Per il resto, il catalogo segue la struttura cronologica dell’allestimento espositivo, con una divisione in cinque sezioni, composta ciascuna da un saggio introduttivo seguito dalle illustrazioni e dalle relative schede delle opere in mostra, che tra dipinti, sculture, miniature, vetrate, arazzi e oreficerie conta una galleria di capolavori di circa trecento pezzi.
A introduzione della prima sezione, con il saggio “Trecento lombardo e visconteo”, Laura Cavazzini propone una sorta di vademecum per orientarsi in un contesto fortemente depauperato come quello dell’arte lombarda del XIV secolo, su cui ha gravato nel tempo anche una sorta di disinteresse e quindi di ritardo negli studi. Basandosi sull’analisi delle opere superstiti, dei malconci frammenti di edifici scomparsi e delle testimonianze scritte, ma soprattutto grazie a un’accelerazione delle ricerche nel campo della scultura gotica, è oggi possibile ragionare con più solida consapevolezza sull’arte milanese del Trecento, scorgendovi un’ampia gamma di influenze culturali. E così, se la scultura all’alba del secolo risente fortemente della tradizione campionese, caratterizzata da volumi compatti e forme semplificate, la pittura si mostra precocemente aggiornata sugli affreschi assisiati di Giotto; se Azzone Visconti, nell’ottica di una politica indirizzata anche all’aggiornamento artistico, accoglie a Milano figure come Giotto e Giottino, esponendo così gli artisti locali al confronto con le novità toscane, è al fiorente mercato bolognese che si rivolge per committenze nel campo della decorazione libraria. “Attorno alla metà del secolo la pittura lombarda ha dunque messo a punto un linguaggio colto e peculiare, tale da poter dialogare alla pari con le proposte che giungono da fuori”, ed è pertanto pronta ad accogliere le numerose maestranze francesi, tedesche e mitteleuropee che lavoreranno presso la nuova cattedrale a partire dal 1386.
Proprio da questo episodio cruciale nella storia dell’arte lombarda – la fondazione del Duomo di Milano da parte di Gian Galeazzo Visconti – prende le mosse il saggio “Milano 1400” firmato da Marco Rossi, che oltre a sottolineare il ricco insieme di relazioni e scambi culturali che avviene in quel grande cantiere internazionale, pone l’accento sulla politica artistica del duca, volta ad accrescere il prestigio della corte attraverso una produzione elegante e raffinata. Data l’impossibilità di restituire in mostra lo sfarzo delle coeve dimore signorili, come lo stesso Castello di Pavia, nella seconda sezione è affidato ai codici miniati, alle oreficerie e alle opere mobili in genere il compito di illustrare tale tendenza.
Di particolare interesse per i lettori di Golconda Arte gli oggetti di arti applicate qui esposti, come per esempio il cosiddetto “Offiziolo Visconti”, sorprendente per gli esiti raggiunti da Giovannino de Grassi nelle sue ricerche naturalistiche; il “Fermaglio con dromedario” in oro, smalto e perle, che testimonia il fertile scambio di modelli tra Milano e Parigi nel campo dell’oreficeria; e ancora il “Cofanetto con la storia di Piramo e Tisbe” uscito dalla bottega degli Embriachi come regalo di fidanzamento atto a conservare monili, lettere e spezie profumate, o lo splendido volto frontale di “Dio Padre” realizzato in rame sbalzato, cesellato e dorato, da Beltramino de Zuttis, tutte opere ampiamente indagate nei loro aspetti storici e stilistici dalle schede del catalogo.
La contaminazione tra le arti è illustrata nel saggio introduttivo alla terza sezione, “Filippo Maria Visconti e il corso ininterrotto del gotico in Lombardia”, in cui Emanuela Daffra e Francesca Tasso ricostruiscono il percorso del pittore e miniatore Michelino da Besozzo, cui buona parte della critica assegna la “Madonna del roseto”, felice scelta per la copertina del catalogo. Le due studiose sottolineano come l’influenza esercitata dal suo linguaggio non solo in ambito pittorico ma anche nel campo della scultura e delle arti minori, sia da ricondursi alla produzione di disegni di modelli ad uso della bottega che venivano indifferentemente adattati a contesti diversi, con frequenti sconfinamenti da una tecnica all’altra, portando così a tangenze molto strette tra pittura e scultura e tra scultura e oreficeria. Quest’ultimo aspetto è significativamente illustrato dall’esposizione in mostra del “Reliquiario degli Innocenti” in argento sbalzato e smalti, che nel trattamento delle figure mostra assonanze con la scultura di Cristoforo Luvoni. Fondamentale, infine, il ruolo esercitato dalle botteghe a conduzione familiare, come quella degli Zavattari e dei Bembo, all’interno delle quali, pur nella difficoltà di definire le singole personalità, si elaborano interessanti novità figurative.
Il contributo scritto da Marco Albertario, Federico Cavalieri e Vito Zani, dal titolo “La prima età sforzesca” affronta quattro aspetti dell’arte lombarda dagli anni cinquanta agli anni settanta del Quattrocento: la pittura sotto il ducato di Francesco e di Galeazzo Maria Sforza, dominata dalla figura di Vincenzo Foppa, attivo nei più importanti cantieri cittadini; gli stimoli provenienti dall’area franco-fiamminga, di cui si colgono interessanti influssi nell’opera di Zanetto Bugatto, e che potevano giungere agli artisti anche attraverso il contatto diretto con manufatti presenti a Milano, come l’arazzo con scene della Passione donato al Duomo nel 1468; il tortuoso e a tratti singhiozzante percorso di aggiornamento della scultura operato dalle botteghe dei Mantegazza e dei Solari, da Giovanni Antonio Piatti e da Giovanni Antonio Amadeo; l’importanza della scultura in legno, grande assente nella mostra del 1958, sulla quale studi recenti hanno gettato nuova luce.
È dedicato all’ultimo ventennio del Quattrocento, periodo di grandi novità e sperimentazioni grazie alla presenza a Milano di Bramante e Leonardo, il saggio finale del catalogo “La corte di Ludovico il Moro e il nuovo corso dell’arte lombarda”, scritto a tre mani da Stefania Buganza, Pier Luigi Mulas e Frédéric Elsig. La scelta di escludere dalla mostra del 1958 opere di impronta leonardesca è stata rimessa in discussione in questa esposizione, alla luce del fatto che gli studi più recenti hanno “dimostrato una volta per tutte come l’appropriazione del portato leonardesco da parte dei lombardi segni l’ingresso nella maniera moderna”. L’ultima parte del saggio riflette sulla significativa inversione di tendenza che, all’aprirsi del nuovo secolo, vede l’arte lombarda diventare modello da esportazione nelle maggiori corti europee.
L’ampissima bibliografia generale che chiude il catalogo, curata da Santina Novelli e ordinata cronologicamente, consente al lettore curioso di approfondire molteplici aspetti della produzione artistica visconteo-sforzesca, di cui questa mostra restituisce un’immagine multiforme e suggestiva.
A cura di Mauro Natale, Serena Romano
Editore Skira, Milano
Anno 2015
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Arte lombarda dai Visconti agli Sforza. Milano al centro dell’Europa
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