periodo: 21/10/2017 - 21/01/2018
curatore: Elena Paloscia
artista: Annalia Amedeo
presso: Casina delle Civette Musei di Villa Torlonia
L’artista e la mostra
Porcellana, porcellana paperclay, ossidi, sali metallici, grès, smalti, fili di rame, radici, sughero, nastri: le materie; la comprovata perizia di Annalia Amedeo nel lavorare la porcellana: la competenza; la memoria, la condizione umana, la sofferenza, la metamorfosi, il divenire, l’essere e l’apparire: le tematiche, sono questi gli elementi intorno a cui si sviluppa la mostra Annalia Amedeo. Sinestesie. Natura, storia, arte, aperta al pubblico dal 21 ottobre presso la Casina delle Civette a Villa Torlonia.
L’esposizione - promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali - è a cura di Elena Paloscia ed è presentata dal Centro Studi per la Storia della Ceramica Meridionale, diretto da Guido Donatone.
Qui la porcellana, il mezzo espressivo che l’artista predilige, è declinata in ogni suo possibile aspetto: ora candida, ora perlacea, ora translucida, ora vellutata, ora ruvida, ora crettata, ora screziata con ossidi, ora impreziosita da fili metallici. Da questa materia nascono creazioni raffinate che si ispirano alla natura e al mondo classico rivisitati in chiave contemporanea.
La lunga esperienza di Annalia Amedeo come restauratrice della ceramica, la profonda conoscenza della materia prima, la padronanza con cui la trasforma ora in forme intricate, tormentate, ora in superfici levigate, eteree hanno fatto venire alla luce quanto costruito in anni di pratica e professionalità, ma soprattutto quanto si è via via stratificato nel suo animo, svelando la ceramicartist che è in lei.
Di grande fascino e pregnanza la sede individuata per la mostra: il museo della Casina delle Civette di Villa Torlonia, a Roma, dove sono raccolte alcune delle più alte espressioni di arti applicate del Novecento. I lavori sono dislocati fra la Dipendenza e la Casina stessa secondo un itinerario che predilige, in linea di massima, la collocazione delle opere più recenti nella Dipendenza.
A partire dal 2012 con una selezione dei lavori più significativi si giunge alle serie inedite come Verso (2017), Madreforma (2017), Memorie fossili (2016-2017) e Angeliche farfalle (2017) che aprono l’esposizione con installazioni site-specific. Opere che testimoniano l’evoluzione, la crescita e la metamorfosi di temi già presenti allo stato embrionale negli anni passati ma che hanno raggiunto oggi - nella varietà o nella molteplicità di narrazione di uno stesso tema - elevati livelli di maturità tecnica e sensoriale. Opere che hanno il potere di suscitare a livello emozionale un’esperienza sinestetica.
E sinestesie concettuali intercorrono continuamente tra Natura, Storia, Arte, ambiti della mostra in continuo dialogo fra loro. Universi i cui protagonisti sono “la foglia, il fiore, la coppa, il fossile e la maschera, declinati secondo un sentire intimo, espressione di un percorso lento, di trasformazione, che ricalca i tempi dell’esistenza stessa” come afferma Elena Paloscia nel saggio in catalogo.
Le opere: fra la Dipendenza e la Casina delle Civette
Riconducono ai quesiti fondanti dell’Universo le serie Memorie fossili e Madreforma esposte nella Dipendenza. Gusci adagiati su forme stratificate, vuoti perché hanno già generato, conchiglie anch’esse stratificate dalla forte valenza simbolica che riporta - secondo l’artista - all’idea della madre, della dea generatrice. Sono, nello stesso tempo, “forme archetipe, reperti di una memoria del creato” ma anche “indizi di nuove esistenze” svelati “nelle cromie appena accennate nei bordi e negli interni”, come osserva la curatrice. In questo modo Annalia Amedeo coniuga in un ossimoro le tematiche care alle sue corde d’artista: la memoria, la metamorfosi, il divenire.
E c’è già l’indizio di una nuova evoluzione della sua poetica in Piccole memorie fossili (2017). Qui gli elementi si differenziano dagli altri per dimensione e forma: non più conchiglie ma piccoli manufatti tondeggianti che evocano rose fossili, rose del deserto. Si tratta di una sperimentazione in corso che vira verso il gioiello d’artista.
Fra i temi privilegiati dall’Amedeo è preponderante quello della foglia. Elemento naturale e primordiale, discreto rispetto ai fiori orgogliosi, quasi sfacciati nella loro bellezza, ha intrinseco qualcosa di struggente; attraversata da una fitta nervatura che porta la linfa vitale, è metafora della nascita, della trasformazione, della rigenerazione, della morte.
Dall’evoluzione più recente del tema nasce Verso, installazione site-specific che occupa un’intera parete della Dipendenza. Una molteplicità di foglie che, arrotolandosi su se stesse, vanno a formare un fiore, una rosa in embrione: variazioni minime nei singoli elementi che fanno la “differenza nella molteplicità” (E. Paloscia). Il titolo dell’opera indica volutamente una direzionalità che porti in una dimensione più serena. “Un percorso verso la bellezza, la verità, la speranza, la salvezza”, come dichiara la stessa artista. In cui Guido Donatone riconosce “… orbite vaganti di piccole comete… Segnale epifanico di nuovi, lucenti orizzonti”.
La mostra, però, propone anche tutte le molteplici variazioni che ha subito il tema nel corso degli anni.
Prima è stata singola foglia lanceolata, poi nastro avvolto intorno a se stesso a cui l’artista attribuisce quasi una funzione terapeutica: “forme intricate per districare pensieri”. È questo l’universo di Oblations (2015) e Tracce sensibili (2015) esposte anch’esse nella Dipendenza o - andando indietro nel tempo - della serie Kinesis (2013-2014) e di Bind (2014) esposte nella Casina delle Civette.
A volte si è avviluppata a radici, a tronchi di sughero come nella serie Leaves installations (2014-2016) in composizioni dall’aspetto scultoreo, solido, pregnante.
È "elemento intruso" in Le foglie dentro (2015): inserita in forme concave, vagamente azzurrina, interrompe la classicità della composizione, la monocromia candida, trasmettendo nuove emozioni. Riempie forme cave in Blue-seed (2016) riproducendosi continuamente. Si collega spesso a un altro tema caro all’artista: quello della coppa, “forma organica che muta continuamente. Da concava, prima inaccessibile, a cavità accogliente, come una valva di conchiglia, da “nido fossile” a “madreforma” (E. Paloscia).
Da Physis ad Angeliche farfalle
Al centro di una parete bianca della Dipendenza, posto a interrompere una sequenza di sei volti femminili sospesi su capitelli scuri, colpisce Physis (2013) - testa di Venere tratta da un calco antico, reperto archeologico più che maschera - in cui si può individuare l’archetipo delle serie successive Come tu mi vuoi (2015) e Angeliche farfalle. In entrambe il topos del volto di Venere è manipolato e alterato, privato della compostezza classica, del biancore algido per affrontare ancora una volta il tema della dualità (che è proprio anche della foglia resistente e fragile nello stesso tempo) e della metamorfosi.
Le sei opere ai lati di Physis costituiscono la serie Come tu mi vuoi. Sfumati colori pastello, azzurri angelici, decorazioni gentili (una rosa, un serto di foglie) sono solo l’apparenza dietro cui si nasconde un’identità violata. Una realtà evidenziata dai nasi malamente rotti, dagli occhi sofferenti, assenti, che evocano solitudini silenti, distanze siderali, disperazioni cosmiche. Ugualmente evidente negli stessi elementi decorativi apparentemente elegiaci: la rosa impedisce di parlare coprendo la bocca; le foglie impediscono di vedere coprendo gli occhi. Questo è il messaggio di Come tu mi vuoi che affronta il tema della dicotomia fra apparire ed essere.
Vicini a questa installazione, sospesi al soffitto - in un allestimento raffinato ed essenziale che ne accentua il pathos - librano nell’aria i tre volti muliebri: le Angeliche farfalle. Solo i nastri di velluto rosso che scendono dal collo o dalla capigliatura sfiorano le colonnine bianche, che ne costituiscono le basi. Anche in questo caso l’artista si rifà al topos classico del volto di Venere ma la compostezza dei lineamenti, il candore dell’incarnato è qui interrotto da formazioni estranee, da escrescenze che nascondono parte del viso: ora una conchiglia, ora un guscio fossile, ora un fiore di un azzurro tenue, ora ali di farfalla vellutate, brunastre, dai bordi cinerei e marroncini che coprono del tutto gli occhi. Ali che richiamano anche le foglie, foglie d’autunno, caduche nei loro colori crepuscolari ma ancora attraversate da intricate nervature vivificanti.
I volti crettati sulle guance, sulla fronte, sul mento da incisioni rossastre sono la spia di un reticolo di vene che li animano, l’indizio di una vita che pulsa. La serie, ispirata a un racconto di Primo Levi (Angelica farfalla), continua il tema della trasformazione dell’individuo. È in atto una nuova metamorfosi che si compie attraverso passaggi laceranti, dolorosi, sofferti.
Da una fine, un inizio: “quello che il bruco chiama fine del mondo / il resto del mondo chiama farfalla” (aforisma attribuito al filosofo cinese Lao Tze, VI-V sec. a.C.). "Uovo, bruco, crisalide, individuo adulto" questo l’iter che ha evidenziato nel testo in catalogo Maria Grazia Massafra. La farfalla, sin dall’antichità, è stata simbolo dell’anima che, uscita dal corpo, raggiunge un grado superiore di perfezione: tutta l’opera tende così a una sublimazione spirituale, a quell’ "…angelica farfalla / che vola a la giustizia sanza schermi…" (Dante Alighieri, Purgatorio, canto X, vv. 125-126).
La quarta testa, che completa la serie, Angeliche farfalle # 3 - dalle labbra esangui che virano al rosato come ad un accenno di vita, dalla capigliatura folta raccolta in un’acconciatura elaborata, trattenuta da nastri di velluto rosso - è esposta nella suggestiva ambientazione della Stanza delle rondini al primo piano del Museo.
Il percorso nella Casina delle Civette
L’esposizione continua nella Casina delle Civette, esempio incomparabile di stile liberty. La scelta della sede è stata dettata proprio per i continui rimandi delle opere ai temi iconografici cui fa riferimento Maria Grazia Massafra: decorazioni naturalistiche e ornamentali fra cui - ghirlande di rose, fiori, tralci d’edera, pampini di vite, festoni di frutta, farfalle variopinte, nastri - che decorano le magnifiche vetrate (ma anche gli stucchi, le boiseries, gli affreschi, le stoffe da parati, i pavimenti) della villa. Vetrate che - installate tra il 1908 e il 1930 - costituiscono un unicum nel panorama artistico internazionale, prodotte tutte dal laboratorio di Cesare Picchiarini su disegni di Duilio Cambellotti, Umberto Bottazzi, Vittorio Grassi e Paolo Paschetto.
Le opere sono state collocate sia al piano terra, nel bow-windov del Fumoir, nella Stanza dei trifogli e nella Stanza del chiodo, sia al piano superiore nel Bagno e nella Stanza da letto del Principe, nella Stanza delle rondini, nella Stanza dei ciclamini e nel corridoio. Oltre a quelle già menzionate sono esposte Le Alzate del 2012 che costituiscono l’opera meno recente; Forme organiche del 2015 e Organic Bowls del 2013. In quest’ultima, situata nella Stanza dei ciclamini, l’artista, riprendendo la forma archetipa della ciotola, si interroga sul passaggio dalla ceramica alla plastica. Con un lavoro scultoreo più tecnico, contemporaneamente prova di ceramista e di artista, priva le forme dell’uso funzionale, destrutturandole con fenditure e incisioni, abbellendole con foglie lanceolate e fili di ottone.
Nella Stanza del chiodo – che deve la sua denominazione alla grande vetrata a forma di chiodo, di Duilio Cambelotti, con una raffinata decorazione a pampini e grappoli d’uva - un tempo adibita a studio del Principe Torlonia è, infine, allestito uno studio d’artista con strumenti di lavoro, pigmenti e calchi utilizzati per realizzare alcune delle opere esposte.
Il catalogo
La mostra è illustrata da un elegante catalogo a colori in italiano e inglese (Edizioni Guida, Napoli, 2017), di circa 100 pagine. Il volume è un utile strumento per approfondire la conoscenza del lavoro di Annalia Amedeo e costituisce un valore aggiunto per documentare questa esposizione.
Diviso in sezioni - Natura, arte e storia - propone una ricca scelta di immagini: la presenza di particolari della stessa opera, fotografati da prospettive diverse, consente di percepire nella piena completezza i singoli lavori in un continuo rinvio dalla parte al tutto e viceversa.
Il libro contiene testi di Elena Paloscia, curatrice dell’esposizione, storica dell’arte e giornalista, di Maria Grazia Massafra, Responsabile del Museo della Casina delle Civette e di Guido Donatone, storico della ceramica e Direttore del Centro Studi per la Storia della Ceramica Meridionale.
Via Nomentana 70 Roma
web
http://www.annalia-amedeo.it/
orari
martedì domenica 9:00-19:00 - Lunedì chiuso
accesso per i disabili
si
biglietti
Biglietto d’ingresso Casina delle Civette: € 6,00 intero; € 5,00 ridotto. La mostra è parte integrante della visita. Per i cittadini residenti nel territorio di Roma Capitale (mediante esibizione di valido documento che attesti la residenza) € 5,00 intero; € 4,00 ridotto. Ingresso gratuito per tutti i residenti a Roma e nell’area della Città Metropolitana la prima domenica del mese.
ufficio stampa
Paola Saba - paolasaba@paolasaba.it
patrocini
Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali
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