Il Museo Nazionale degli Strumenti Musicali, inaugurato nel 1974 nella Palazzina Samoggia, già parte dell’ex-caserma "Principe di Piemonte", ha sede accanto alla Basilica di Santa Croce in Gerusalemme, nel quartiere S. Giovanni a Roma, in un comprensorio pieno di vestigia archeologiche del III e IV sec. d.C., fra cui il Palazzo Imperiale, il Circo Variano e l'Anfiteatro Castrense.
Il Museo è un unicum sia per la ricchezza che per la fattura degli esemplari conservati: oltre 3000 pezzi che ricoprono un arco cronologico di più di duemila anni, provenienti in gran parte dalla collezione del tenore-collezionista Evan Gorga (1865-1957), acquistata dallo Stato Italiano nel 1949.
Gli strumenti musicali, dislocati nei primi anni in diversi magazzini, furono riuniti nel 1964 nella Palazzina Samoggia e, dopo dieci anni, al termine dei lavori di ristrutturazione dell'edificio, il Museo fu aperto al pubblico.
Nel frattempo, la raccolta aveva continuato ad ampliarsi con l’acquisizione di altri fondi, fra cui la Collezione Marcello Giusti del Giardino (strumenti a tastiera e a fiato), a cui si sono aggiunti poi altri rarissimi esemplari, come il pianoforte di Bartolomeo Cristofori del 1722, l'Arpa Barberini (sec. XVII), un gruppo di cornamuti torti cinquecenteschi, un claviciterio (sec. XVII).
Dal fischietto alla cetra: le tipologie di strumenti
Svariatissima la tipologia di manufatti conservati destinati ad ogni genere di musica, di circostanza, di pubblico.
Parte della collezione è costituita da manufatti emersi nelle varie campagne di scavo fra cui fischietti di terracotta, campanelli di bronzo, plettri in osso o in avorio, sonagli, sistri, crotali e un raro “aes thermarum”. Nel loro insieme sono una peculiarità del Museo che è l’unico del genere a raccogliere questo tipo di strumenti “archeo/musicali”.
Una serie di strumenti a corde, a fiato, a percussione tipici dei continenti extraeuropei (Asia, America Meridionale, Africa) con i loro nomi esotici ci portano a sonorità e latitudini lontane: esrar e sarangi dall’India, sanhsien e koto dalla Cina e dal Giappone, quijada e charango dall’America meridionale, darabuka e qanun dall'Africa solo per citarne alcuni.
Ampliamente rappresentati gli strumenti di musica popolare, ambito in cui - relativamente alla fattura - meritano una menzione speciale quelli di produzione italiana come i mandolini genovesi e napoletani, le cetre da tavolo, gli scacciapensieri, le launeddas e così via. E’ significativo ricordare che molti di questi strumenti entrarono nel tempo a buon diritto a far parte della musica colta, tra questi mandolini, tamburelli e nacchere. Viceversa: la “ghironda” – ad esempio - da strumento da mendicante nel XV secolo entrò alla corte francese nell’ambito della “moda pastorale” dell’aristocrazia del XVII secolo.
Consistente il numero degli strumenti “portatili” per “la musica in cammino”: utilizzabili sia spostandosi di casa in casa che en plein air: a questa tipologia appartengono “pochette” (violini da tasca), violini, chitarre, mandolini, fisarmoniche, organi da processione, cembali ripiegabili, flauti, clarinetti, corni da caccia.
Ci sono poi gli strumenti a percussione e a fiato della tradizione militare: tamburi, corni, trombe. Organi e campane di varie dimensioni sono ascrivibili - invece - alla musica da chiesa. Ricchissima la tipologia degli strumenti utilizzati per la musica da casa, fra cui spinette e virginali di varie dimensioni, organi da camera, cembali e pianoforti, una glass-harmonica.
Da non trascurare, infine, gli strumenti meccanici risalenti ai secoli XIX-XX: carillons, tabacchiere e scatole musicali, strumenti a dischi e a nastri perforati, organi a cilindro (solo per citarne alcuni) che suonano automaticamente animati da diversi meccanismi.
Parte delle tipologie sin qui descritte - che meriterebbero ciascuna una trattazione a sé - è esposta nelle sale del Museo, inclusi quelli che sono considerati tout court i “capolavori” del Museo stesso: il Pianoforte di Bartolomeo Cristofori, l’Arpa Barberini, il Cembalo di Hans Müller, il Modello in terracotta del Cembalo di Michele Todini.
Perché visitare il Museo
La visita fornisce spunti di analisi etnografica ed antropologica ed è un’occasione per interrogarci sulle connessioni tra produzione musicale, storia, costume e artigianato. Dietro a ogni strumento c’è un lungo cammino: quello del lavoro esperto e paziente di generazioni di cembalari, liutai, arpari, organari, costruttori di strumenti a fiato, ebanisti che lo realizzarono tramandandosi il mestiere di padre in figlio. I marchi a fuoco, le iniziali dei nomi, le date, le scritte sopra i tasti, le etichette stampate attaccate all’interno degli strumenti riportano al periodo, alla città, alla bottega e/o all’artigiano che li ha costruiti fornendo indicazioni preziose anche a studiosi di altre discipline.
Dalla visita inoltre emerge che il nostro Paese svolse un ruolo rilevante sia nella realizzazione che nell’ “invenzione” degli strumenti stessi. Molte città italiane possono scrivere pagine gloriose sul contributo che dettero in questo ambito: Cremona, Brescia, Padova, Torino, Milano, Venezia, Roma, Napoli, Messina fra le tante. Una folta schiera di liutai tedeschi - inoltre - migrò in Italia fra il XVI e il XVIII secolo portando un bagaglio di cognizioni che si innestò nella nostra tradizione artistica, dando vita a felici contaminationes.
Cosa vedere
Proprio a un “inventore” italiano, Bartolomeo Cristofori (1655-1732), e al suo pianoforte del 1722 è dedicata la prima sala in cui ci imbattiamo nel corso della visita. L’ideazione del meccanismo dei martelletti che modulano il volume del suono lo consacrò come inventore del moderno pianoforte. La scritta in lettere capitali che sovrasta la tastiera: BARTOLOMAEUS DE CRISTOFORIS INVENTOR FACIEBAT FLORENTIAE ANNO MLCCXXII, ne attribuisce inequivocabilmente la paternità e la datazione. L’esemplare - appartenuto probabilmente ad Alessandro Marcello - è quello nelle migliori condizioni conservative dei tre giunti sino a noi costruiti da Cristofari.
Nella sala successiva, che comprende molti pezzi della collezione Marcello Giusti del Giardino il Cembalo di Hans Müller, costruito a Lipsia nel 1537, è l’esemplare tedesco più antico conosciuto. Concepito per essere appoggiato su un tavolo, presenta molte caratteristiche simili a quelle dei cembali italiani, fra cui la sagoma della cassa, tutta la costruzione interna, il piano armonico in cipresso. Gli fanno compagnia altri pezzi di grande interesse storico-artistico: un organo positivo del XVI secolo i cui sportelli, frontali e posteriori, sonno decorati da immagini di pitture di carattere sacro e tre spinette cinquecentesche fra cui la spinetta pentagonale di G.F. Antegnati, della celebre famiglia bresciana di organari. La spinetta è contenuta in un astuccio trapezoidale sul cui coperchio è raffigurato Davide che suona la cetra. Nelle vetrine sono conservati pregevoli strumenti a fiato e a corda fra cui un gruppo di cornamuti torti (cromorni) del 1524, opera del bavarese Joerg Weier, una serie cinquecentesca di cornetti diritti e curvi, una tromba lunga da araldo, proveniente da Siena, e realizzata nel 1461 da Sebastian Hainlein (capostipite della famiglia di Norimberga che nel Seicento fornì le trombe per il Palio di Siena), alcuni liuti e una rarissima arpetta cinquecentesca di forma gotica.
Proseguendo il percorso si incontra una serie di chitarre di diversa provenienza. Di particolare bellezza e valore due chitarre battenti, in ebano e avorio, del XVII secolo. Una realizzata da J. Stadler, liutaio tedesco attivo in Italia, l'altra attribuibile a Giovanni Tessler (Ancona, XVII sec.). Nella prima il retro della cassa è a doghe di avorio ed ebano alternate e nelle fasce sono inserite piastre di avorio graffito con scene di caccia. Il retro della cassa della seconda - invece – è costituito da doghe di ebano filettate di avorio, mentre il manico è placcato da intarsi sempre di avorio ed ebano. Altro pezzo di grande importanza è il Cembalo piegatorio (XVIII sec.) di Carlo Grimaldi (attivo come cembalaro e organaro a Messina fra la fine del ‘600 e gli inizi del ‘700). Fa pensare ad una sorta di “24 ore” del cembalista, richiudibile in tre sezioni, unico esemplare di tal genere costruito da un italiano. Fuori dalle vetrine si segnalano tre cembali (XVII-XVIII sec.), fra cui quello a due tastiere del 1637, opera di Johannes Ruckers di Anversa.
Continuando si accede alla sala in cui sono esposti celebri capolavori come l’Arpa Barberini e il modello in terracotta del Cembalo di Michele Todini.
L’arpa, fatta costruire fra il 1605 e il 1620 dalla nobile famiglia Barberini, come testimonia lo stemma con le tre api sulla colonna, fu data in uso al rinomato suonatore Marco Marazzoli, figura di spicco della vita musicale della Roma seicentesca. E’ un pezzo unico sia dal punto di vista storico-artistico, per l’intaglio ligneo dei putti dorati sovrapposti che ricorda un candelabro barocco, che da quello musicale, visto che i tre ordini di corde consentono di eseguire anche le note cromatiche, sebbene non fossero stati ancora inventati i pedali.
In una vetrina è esposto il Modello in terracotta del Cembalo di Michele Todini, bozzetto preparatorio in legno e terracotta dorata del vero e proprio cembalo oggi al Metropolitan Museum di New York. Il cembalo faceva parte della Macchina di Polifemo e Galatea, presente nella Galleria Armonica del geniale liutaio piemontese (1616-1690). La Galleria costituita da una serie di macchine musicali formate da vari strumenti azionati - mediante congegni meccanici - da una sola tastiera, era una delle meraviglie della Roma del Seicento, allestita nella casa del maestro. Nelle altre vetrine sono esposti preziosi strumenti a corde fra cui: due chitarroni seicenteschi realizzati da Magno Graill е da Pietro Raillich, clavicembali, violoncelli, viole da gamba, violini.
Proseguendo si possono ammirare quattro cembali, di cui uno del XVIII secolo a due tastiere sfarzosamente dipinto e dorato all’interno e all’esterno, a sette gambe intagliate; tre arpe parigine (XVIII sec.) e due organi positivi di scuola napoletana (XVII-XVIII sec.). Molti strumenti a fiato: clarinetti, ottavini, flauti traversi, oboi, corni inglesi (XVIII-XIX sec.) di provenienza italiana (Bologna, Fabriano, Milano, Napoli) e tedesca (Berlino, Norimberga, Lipsia, Dresda) occhieggiano dalle vetrine.
Nell’ultima sala ci sono altri pezzi particolarmente significativi. Di rilievo un claviciterio italiano (XVII sec.) sorta di clavicembalo verticale anziché orizzontale, dotato così di una diversa meccanica più complessa. Pregevole anche il coperchio su cui è dipinto - sulla parte esterna - un grande vaso con fiori. Notevoli anche tre spinette, due rettangolari datate 1677 e 1692 e una traversa del 1668 costruita dal cembalaro napoletano Onofrio Guarracino. L’astuccio di quella datata 1692 è decorato da una pregevole natura morta di Nicola Casissa. Da menzionare, inoltre, due organi, uno settecentesco di scuola napoletana, l’altro “ad ala grande” del XVII sec. e uno strumento dell’Ottocento a coppe di cristallo ruotanti su perno, chiamato glass-harmonica.
Nelle vetrine sono esposti strumenti a fiato, fra cui flauti dolci in avorio e in legno, risalenti al periodo tra XVII e XVIII secolo, e a corde fra cui un liuto della prima metà del XVIII secolo attribuito a Johann Christian Hoffman, ritenuto liutaio di Johann Sebastian Bach.
Il Salotto-studio di Giovanni Sgambati
Per completare la visita del Museo è consigliabile una sosta nel Salotto-studio del musicista e compositore Giovanni Sgambati (1841-1914) allestito secondo la caratteristiche dell’ambiente originale che era situato a Roma, in Piazza di Spagna. Gli arredi e le opere del salotto - che fu per decenni un cenacolo culturale di livello internazionale - furono acquisiti dallo Stato Italiano nel 1994.
Per approfondire
Per una conoscenza più approfondita si consiglia vivamente oltre ad una visita accurata al Museo, la consultazione del sito e delle fonti bibliografiche tra cui il catalogo generale,
Vivere il museo: gli eventi
Per promuovere la struttura, la conoscenza del Museo e l’amore della musica, il Museo organizza periodicamente rassegne di musica antica, concerti, conferenze.
Si informano i lettori che alla data di pubblicazione dell’articolo sono aperte al pubblico sei sale espositive ma - per chi voglia approfondire ulteriormente la conoscenza - è prevista la possibilità di visitare i depositi, previa autorizzazione.
indirizzo
Museo Nazionale degli Strumenti Musicali
Palazzina Samoggia
Piazza di Santa Croce in Gerusalemme, 9/A - 00185 Roma
telefono
Tel.: + 39 06 7014796 Fax: + 39 06 7029862
pm-laz.mnsm@beniculturali.it
web
http://museostrumentimusicali.beniculturali.it
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