periodo: 02/04/2016 - 12/09/2016
curatore: Alba Cappellieri
artista: Mostra collettiva di gioielli
presso: Triennale di Milano
Brilliant! I futuri del gioiello italiano, la mostra allestita in occasione degli eventi organizzati per la XXI Triennale a Milano, è un’importante occasione per ripercorrere criticamente la storia e l’evoluzione del gioiello italiano.
Dopo una lunga assenza dalle mostre internazionali, che risale al 1973, il gioiello torna ad essere protagonista con questa esposizione.
Attraverso una cinquantina di opere selezionate la curatrice, Alba Cappellieri, ha costruito un percorso articolato in più sezioni volto non solo a far ammirare alcune delle creazioni più interessanti del panorama italiano, ma anche a comprendere in che contesto siano stati generati e come si evolvono le differenti tipologie di gioiello.
Nella interessante digressione introduttiva al catalogo, infatti, troviamo le principali chiavi di lettura della mostra che analizza, attraverso questi straordinari manufatti, gli scenari cui appartengono e i loro “futuri”.
Attraverso le categorie Manifattura Mirabile, Bellezza Quotidiana, Avant Craft, Tecnologie Preziose e Creatività Collettiva, identificate appunto come scenari, si può riflettere sul ruolo del gioiello nell’esprimere i mutamenti sociali e le istanze estetiche, economiche e di ricerca che sottendono alla creazione di questi ornamenti.
Le opere selezionate per l’occasione sono state realizzate da differenti realtà produttive, tra cui maestri e giovani talenti, abili artigiani, maison orafe, scelte proprio perché rappresentano la pregevole capacità manifatturiera, la migliore produzione industriale e sono espressione di competenze che intercettano differenti campi come l’arte, il design, la moda e le nuove tecnologie.
Ne emerge un panorama eterogeneo, che riflette necessità e contraddizioni del presente, la fluidità e “l’ibridazione dei contesti” che vanno dalla perdita dell’univoca interpetazione del gioiello come oggetto dal valore intrinseco ed immutabile alla presa d’atto della sua trasformazione in oggetto di consumo. In ciascuna di queste declinazioni però resta la costante, tutta italiana, di un altissimo livello qualitativo del prodotto, dettato non più solo dai materiali e dalla lavorazione, ma anche dalla ricerca, dall’innovazione, dall’unicità dell’atto creativo.
“Tanto gli artigiani orafi quando le aziende – scrive Alba Cappellieri - hanno recuperato dignità e orgoglio nel comunicare il lavoro manuale necessario a conferire qualità e bellezza al gioiello. L’artigianato non riguarda solo la tecnica ma la capacità di ripensare e apprezzare la bellezza: In questi casi l’artigianato si evolve nei mestieri d’arte che, proprio in Italia, trovano un’ampia applicazione e rappresentano il DNA del Made in Italy”.
Proprio tra nomi noti e meno noti del made in Italy si snoda il percorso attraverso la scelta del pezzo emblematico, il collier, di cui ripercorriamo insieme le tappe.
Le maison del gioiello e il lusso esclusivo
Appartengono alla Manifattura Mirabile le opere dei grandi nomi come Buccellati, Bulgari, Giampiero Bodino, Chantecler, Crivelli, Damiani, Stefan Hafner, Vhernier, e dei maestri corallieri tra cui De Simone, Liverino1894 e Mattia Mazza.
Si tratta di gioielli fatti rigorosamente a mano, con materiali e pietre preziose espressione di lusso ed unicità, che ha saputo imporsi sul mercato come oggetto del desiderio capace di incarnare e conferire una personalità. Il collier di foglie muschiate di Buccellati in agata con grappoli di zaffiri, coniuga il passato con il futuro mediante una esclusiva ricerca cromatica e formale. Bulgari reinterpreta nel collier Diva Ginkgo, del 2015, il sautoir Bulgari degli anni Settanta, creando una collana lunga, composta da elementi geometrici e da un pendente asimmetrico ispirata a motivi degli antichi kimono giapponesi con pietre rare e di grande pregio.
Anche Giampiero Bodino crea pezzi unici nella sua maison nata nel 2013 a Milano. Definendosi “uomo-artigiano che rinasce sotto il tratto dell’artista”, si ispira all’arte, alla cultura e all’immaginario italiano, ponendo una grande attenzione ai dettagli come dimostra Il suo collier Corona, ispirato alle corone “fin de siècle". Sono espressione del territorio le opere eleganti ed eccentriche del marchio caprese Chantecler, come Il collier Galli, disegnato da Maria Elena Aprea nel 2008 e realizzato in oro rosa e diamanti bianchi di taglio misto, che riprende il gallo del nome della maison.
Da Torre del Greco, “capitale mondiale” nell’arte di trasformare il corallo, vengono le opere delle aziende familiari nate alla fine dell’Ottocento: Liverino1894, De Simone e Mattia Mazza
Il collier Afrodite, del 2013, in corallo del Giappone, oro e pietre preziose dei fratelli De Simone, pezzo unico nato da una concezione “sartoriale” della creazione, è espressione della capacità di valorizzare la materia prima senza trascurare l’eleganza e la vestibilità dell’oggetto. Mentre il Mascherone, del 1970, in corallo, oro, acciaio brunito, e diamanti della Liverino 1894, è espressione della capacità dell’azienda di coniugare innovazione tecnologica e ricerca nell’accostamento di materiali della catena alla tradizionale arte scultorea.
Nel collier Infinite, del 2015, corallo del Giappone, onice, oro giallo e diamanti, taglio brillante di Mattia Mazza, ricavato da un pezzo unico, si ammira l’eleganza e la preziosa lavorazione manuale delle ciambelle in corallo che compongono la catena.
Da Valenza, distretto principe dell’alta gioielleria, provengono i lavori di Vhernier, Crivelli, Damiani e Stefan Hafner.
Il collier Calla di Vhernier rappresenta la capacità delle aziende di sperimentare anche materiali non preziosi, come l’ebano accostato ai brillanti, conferendo loro grande eleganza e pregio grazie ad una raffinata e complessa lavorazione scultorea che interpreta il gusto di una donna moderna e cosmopolita.
Come una maglia impreziosita da brillanti, la lavorazione a traforo del collier del 2008 di Bruno Crivelli si caratteriza per ariosità e leggerezza data proprio dal prevalere delle pietre montate con le griffe e dalla struttura flessibile che si adatta al corpo.
È dedicato invece a Sophia Loren il gioiello realizzato da Damiani nel 2005, realizzato in oro bianco e con 1352 diamanti, complesso ed elegante nell’uso ripetuto dell’elemento circolare che è, ancora oggi, l’icona della casa fondata nel 1924.
Il collier Sahara, realizzato nel 2000 dalla Stefan Hafner, fondata nel 1967 a Bologna, rappresenta proprio per la ricercatezza dei materiali e per la complessità della lavorazione, durata circa sei mesi con ben 70 passaggi, l’alta qualità dei prodotti italiani che qui si coniugano anche con “il rigore della tecnica svizzera".
L’idea italiana del lusso quotidiano
Lo scenario Bellezza quotidiana vede il gioiello come oggetto in grado di conferire gioia e bellezza a chi lo indossa e non necessariamente unicità. È un gioiello prêt-à-porter frutto delle ricerche della moda, del design e dell’artigianato che, secondo la curatrice, in Italia ha trovato un terreno fertile anche grazie alla struttura familiare delle aziende che uniscono, oltre alla grande competenza artigianale, anche la capacità di fare ricerca tecnologica e di variazione sulla serie adattandosi alle esigenze del mercato. Questa intersezione tra gioiello e moda che risale agli anni ‘80 vede il gioiello acquisire alcune caratteristiche della seconda come la “stagionalità delle collezioni, la varietà cromatica delle gemme, il monomarca come strategia di retail e la comunicazione estesa come sistema di valorizzazione”.
I principali attori selezionati di questo scenario sono Antonini, Marco Bicego, Pasquale Bruni, Roberto Coin, Forevermark Italy, Roberto Giannotti, Mattioli, Mimí Broggian Milano, Pomellato, Santagostino, Vendorafa, Giorgio Visconti.
L’idea del gioiello come eleganza spensierata è interpretata da Pomellato nella collana Victoria del 2007, dove la catena ovale in oro rosa con un inserto in jet (gaietto) gioca sui contrasti cromatici del metallo prezioso e della pietra nera che orna la parte esterna dell’anello. Crocevia di culture è l’elegante collier Black Jade, del 2014, in oro rosa, giada nera, agata verde e diamanti di Roberto Coin, realizzato con materiali non consueti la cui lavorazione richiede ampia esperienza e maestria. Pasquale Bruni, invece, nel collier Ghirlanda, “’70 Queen”, del 2010, in oro bianco, onice, kogolong, spinelli neri e diamanti, propone un gioiello che “attraversa tempi e luoghi lontani”. Complessa nella sua esecuzione e di grande leggerezza è la collana firmata Mimí Broggian, Blanche, del 2014, un girocollo in oro, argento, diamanti naturali e perle barocche. Per la donna costretta ad affrontare la giungla metropolitana c’è la collana Tigre, della collezione “Urban Animals” del 2014, creata dalla Mattioli, marchio che interpreta il gioiello anche in chiave “componibile” per consentire una variazione sempre nuova sul tema.
Testimonianza di grande abilità manifatturiera è anche la Collana Geometrica del 2010 di Vendorafa, snodata e composta da forme concave martellate e moduli di collegamento in oro bianco e diamanti. Elegante nella sua semplicità è Marrakech Supreme, del 2016, a tre fili di Marco Bicego, in oro giallo e diamanti, realizzata con la tecnica della lavorazione "a corda di chitarra".
Come in un bassorilievo, nella collana Microcosm of Love, realizzata in oro e pietre preziose nel 2012, c’è un vero e proprio "prato fiorito, con funghi, fiori e frutti realizzati con una ricca lavorazione di fili d'oro, mascherine traforate e minuscoli castoni" la cui complessità è visibile sul retro.
La contaminazione tra mondo della moda e oreficeria è rappresentata dalle figure dello stilista-orafo e dell’orafo-stilista.
Tra gli orafi-stilisti selezionati per la mostra troviamo Misis, Franco Pianegonda, Percossi Papi, Francesca Villa, Manuela Gandini, Fabio Cammarata e Sharra Pagano, mentre Gianfranco Ferré, Moschino e Marni sono alcuni degli stilisti che nel concepire i gioielli per il proprio brand hanno portato avanti una seria ricerca su materiali e forme.
I pezzi di Diego Percossi Papi, orafo romano, si ispirano alla storia e alle lavorazioni del passato. Per il cinema ha creato gioielli come il “collier de chien” Johanna del 2014, realizzato per il film “Emperor” di Lee Tamahori. Mentre legati alla memoria sono i monili di Francesca Villa, realizzati con oggetti trovati tra cui fiches, tasti, cartoline e biglietti, ironicamente assemblati con materiali preziosi, come testimonia la collana Adesso Basta!, del 2013, in oro bianco e rosa, madreperla, zaffiri rosa e fucsia, vecchie etichette, numeri della tombola, lettere in avorio. Manuela Gandini, che nel 2004 ha creato il marchio Manuganda, crea monili in materiali estranei alla gioielleria, come la gomma e l'alluminio, e sceglie tecniche di produzione che avvicinano la tradizione della fusione a cera persa con la prototipazione rapida, il taglio chimico e ad acqua, lo stampaggio a caldo. Svolta#1, la collana in mostra in ottone placcato oro del 2014, è costituita da un filo rigido continuo, d’impronta minimalista, che gira intorno al collo.
Legate alla moda anche le creazioni cromaticamente vivaci di Fabio Cammarata, che realizza con tecniche orafe gioielli in metalli poveri. Nella collana Cerchio e Fiori del 2015, in ottone dorato e bronzo smaltato, piccoli fiori con l’interno in smalto saldati nella parte centrale imitano i castoni a rilievo. L’azienda Sharra Pagano interpreta il gioiello quotidiano attraverso l’uso del colore e di materiali trasparenti come il vetro nella collana Rainbow del 2015.
Tra gli stilisti che dell’estetica contemporanea sono diventati emblemi, troviamo Franco Moschino, che nel 1980 aveva creato la collana Pasticcini, in ottone e resina, e Gianfranco Ferré, che nel 2002 disegna la collana in ottone dorato di ispirazione etnico-africana scelta per l’esposizione.
Infine la San Lorenzo, fondata nel 1970 da Ciro Cacchione, volendo interpretare i gioielli come espressione della contemporaneità li commissiona ai maestri del design italiano, Franco Albini e Franca Helg, Maria Luisa Belgiojoso, Antonio Piva, Afra e Tobia Scarpa, Lella e Massimo Vignelli, dando vita di fatto ad oggetti realmente originali come la collana Seicento di Lella Vignelli del 2003, una gorgiera in lastra d’argento.
Il gioiello come opera d’arte
Nella sezione Avant Craft troviamo le sperimentazioni artigiane e le avanguardie artistiche, il “gioiello d’artista” o “d’autore” o “di ricerca”. Questi lavori non sono vincolati a logiche produttive e per loro il valore del gioiello non risiede nella preziosità del materiale ma nella ricerca e nella sperimentazione di linguaggi innovativi in costante dialogo con le arti avviata fin dagli anni Quaranta. Solo verso la fine degli anni Cinquanta l’interazione e il confronto tra artigiani e gli artisti crea una nuova consapevolezza nei maestri orafi ed in particolare negli allievi della celebre scuola padovana diretta da Mario Pinton che, come scrive la curatrice, “non propugnò idee o manifesti ma mise in evidenza una materia, l’oro, che rappresentava l’incipit del processo creativo”.
Alcuni dei loro lavori in mostra testimoniano gli esiti del nuovo corso. Tra questi, Francesco Pavan e Giampaolo Babetto, Stefano Marchetti, Graziano Visintin e Barbara Paganin, concepiscono il gioiello “come ricerca intorno alla materia”.
Francesco Pavan, vicino alle ricerche del gruppo N, crea forme geometriche e volumetrie flessibili e incastri utilizzando forme modulari come nella collana cilindrica del 1977.
Giampaolo Babetto, invece, concepisce il gioiello come un’opera d’arte fondata su geometrie, modularità e texture. Sperimenta nuovi materiali, tra cui l’ebano e la resina, che abbina alle pietre preziose. Nella collana del 2011 fa sì che i moduli geometrici siano mobili grazie anche all’uso dei pigmenti colorati. Stefano Marchetti nella collana in oro e argento del 2007 utilizza il mokumé parquetry e tecniche miste per creare effetti e texture che conferiscono cromie di particolare eleganza. La collana del 2012 di Graziano Visintin, in oro bianco, giallo e argento ossidato, è costituita da 21 elementi geometrici irregolari inseriti tra loro valorizzando così l’elemento strutturale.
Le potenzialità espressive di un materiale non prezioso vengono utilizzate da Barbara Paganin, che nella collana More del 2013 monta elementi in polimetilmetacrilato insieme all’argento ossidato e all’oro.
Tra i gioielli creati dai designer sono da segnalare le sperimentazioni materiche di Gaetano Pesce, che crea in resina pezzi unici come la collana Yvonne del 2016, in cui la materia plasmata in libertà continua vivere una vita propria come un “magma incandescente”. Giancarlo Montebello, nella sua ricerca di leggerezza, utilizza tecnologie industriali applicate al gioiello e, nel 2006, crea il collare della collezione “Superleggeri” costituito da "sottili lamine in acciaio inox realizzate con taglio chimico, poi spazzolate e “bluettate”, indossabili grazie a una chiusura-gemello con ologramma e preziose cuciture in oro giallo".
L’elemento strutturale e tecnologico torna anche nelle opere di Carla Riccoboni, Stefania Lucchetta, Emma Francesconi e Sandra Di Giacinto, in cui si coniugano l’aspetto artigianale e quello tecnologico.
Carla Riccoboni, appassionata di catene, recupera e interpreta gli stampi degli anni Cinquanta trovati nelle antiche fabbriche bassanesi. Stefania Lucchetta nella collana Vibrations 03, realizzata nel 2014, utilizza il titanio anodizzato stampato in 3D ma realizza a mano la catena. La carta è il materiale scelto da Sandra Di Giacinto, che ne studia le forme, la progettazione dei tagli, delle pieghe, delle sovrapposizioni in gioielli come il collier Sublime in carta glitterata, realizzato nel 2015.
Emma Francesconi, invece, ha trasferito nel gioiello le proprietà di materiali resistenti e convenzionalmente non preziosi, come l’acciaio e il titanio, interpretandoli in chiave di leggerezza, come risulta evidente nella collana Wafer del 2015.
Il gioiello tecnologico
Alla Tecnologia Preziosa è dedicato uno degli scenari futuri cui il gioiello già fa riferimento. La tecnologia in questo caso non è più solo strumento ma diventa essa stessa gioiello in virtù di materiali tecnologicamente avanzati che necessitano di particolari processi di produzione o perché la tecnologia stessa entra a far parte del gioiello con le sue differenti funzioni e potenzialità, come nel caso delle tecnologie indossabili, i wearables.
Margherita Burgener costruisce i suoi pezzi con il titanio cui abbina pietre preziose. Nella collana spilla Blooming, in cui ha creato un tralcio di boccioli in titanio colorato, oro e 784 diamanti, l’elemento naturalistico assume aspetti inediti conferiti al gioiello dalle particolari cromie del metallo.
Mattia Cielo, dal 2006 con il direttore creativo Massimiliano Bonoli, crea gioielli frutto di una ricerca tecnologica e innovativa sia dal punto di vista formale che dei materiali. La collana Vulcano del 2014 è realizzata con maglie in carbonio, oro e diamanti bianchi.
Nel settore dell’oreficeria i gioielli con tecnologie applicate (wearable technologies) sono ancora rari, l’idea è che si tratti, come per gli abiti, di oggetti utili e creati per aumentare il benessere di chi li possiede. In mostra è possibile vedere la collana con pendente Cleopatra di Vinaya, brand fondato nel 2013 da Fabio Pania, ingegnere elettronico esperto nella crezione di oggetti smart, che crea eleganti e moderni gioielli in argento placcato oro con gemme ceramiche dotati internamente di sensori Bluetooth.
Queste ed altre tecnologie trasformano profondamente la consueta concezione del gioiello come oggetto dotato di una mera funzione estetica, proiettandolo in una dimensione futura che prevede scenari ben più ampi che gli attribuscono nuovi valori. Muta di conseguenza anche la relazione con il corpo e il gioiello tecnologico diventa sempre più, per citare con la curatrice Marshall McLuhan, un’estensione del corpo umano.
Il gioiello 3D dalla progettazione alla fruizione
La trasformazione dei processi creativi mediante la tecnologia digitale e soprattutto mediante la trasmmissione di idee e saperi definisce l’ultimo scenario di cui la mostra rende conto, la Creatività Collettiva. L’open source è il presupposto che rende possibile all’orafo che utilizza la tecnologia 3D l’approdo sul mercato, grazie al "rapid prototyping" e dalla condivisione in rete di conoscenze utili alla progettazione che garantisce un grande risparmio.
Così l’artigiano può diventare imprenditore del futuro. “Da espressione autobiografica di un talento individuale le discipline del progetto si trasformeranno in professione collettiva, utile alleanza tra nuovi saperi e vecchi mestieri”, scrive a tale proposito la Cappellieri.
L’importante infatti non è solo conoscere l’uso delle nuove stampanti e i loro programmi, ma essere in grado di progettare e di portare a termine con la consueta cura artigianale l’oggetto prodotto che necessita di rifiniture e talvolta di assemblaggio da effettuare rigorosamente a mano.
Bijouets e Maison 203 sono due aziende che utilizzano tecnologie 3D con l’ausilio di designer le cui competenze, spesso estranee alla realtà dell’oreficeria, conferiscono un plus per l’innovazione anche dal punto di vista estetico.
Così nasce per Bijouets Superleggera, disegnata da Monica Castiglioni, una catena di cerchi sottili colorati, omaggio a Gio Ponti.
Di Maison 203 è la collana Kalikon del 2016, un gioiello modulare e componibile basato su forme circolari, flessibile e aderente al corpo grazie a una serie di giunzioni e di snodi che nascono contemporaneamente all'oggetto senza la necessità di un assemblaggio successivo.
Con quest’ultimo scenario in continua evoluzione si conclude un’esposizione che vuole far riflettere sul futuro stesso della creatività e sulla necessità, ora più che mai, di un’intersezione di competenze che rendano possibile la sopravvivenza, anche economica, di una delle più importanti espressioni dell’abilità e dell’ingegno creativo italiano.
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catalogo
Corraini editore 2016
ufficio stampa
Damiano Gulli
10/10/2017
Storica dell’arte e curatrice indipendente si è laureata in Storia dell’Arte Moderna all’Università “La Sapienza di Roma. Ha frequentato un corso di Perfezionamento in Museografia presso il [...]