TECNICHE
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Il mosaico 05/11/2013 - Cristiana Bigari

Tecnica antichissima, già nota in Egitto e nell’antica Roma, secondo quanto testimoniato da Plinio, il mosaico trae il suo nome dal latino medievale "musaicus", riferito alla parola "musa" con cui si indicava la decorazione murale delle grotte dedicate alle muse costruite nei giardini romani.
Per Mosaico s’intende una decorazione a motivi geometrici o figurati realizzata con elementi di piccole dimensioni, generalmente regolari (tessere), riuniti e fissati su di una superficie architettonica verticale (mosaico parietale) o orizzontale (mosaico pavimentale). I materiali usati sono molto diversi secondo la funzione e posizione del mosaico o degli effetti estetici ricercati: frammenti di pietre dure, marmi policromi, conchiglie, paste vitree, smalti e tessere vitree con la foglia d’oro.
Nella civiltà greco-romana il mosaico era correntemente usato soprattutto per la decorazione di grandi pavimenti e in misura minore per pareti o absidi. I romani eseguivano inoltre mosaici su supporti mobili, chiamati “emblemata”, generalmente figurati, che venivano poi inseriti in composizioni più ampie, a carattere geometrico-decorativo.
L’epoca bizantina segna l’apice dello sviluppo della tecnica del mosaico, come massima espressione della cultura del tempo. Nei secoli a venire il mosaico sarà usato anche come tecnica per la realizzazione di progetti pittorici di grandi maestri, come nel caso della calotta absidale della cappella Chigi nella chiesa di S. M. del Popolo, opera musiva su cartone di Raffaello.
I mosaici su supporto fisso prevedono differenti strati preparatori, prima dell’allettamento delle tessere: generalmente si tratta di strati di malta composti di calce spenta, inerti di natura pozzolanica, coccio pesto, polvere di marmo e sabbia, di diverso spessore, a seconda dei livelli più o meno superficiali, assottigliando la granulometria delle cariche negli strati più esterni.
Le tessere musive vengono inserite per 2/3 del loro spessore nella malta di allettamento, secondo le indicazioni del disegno preparatorio. Questa tecnica è definita “diretta” e permette di ottenere particolari risultati estetici per il mosaico, in funzione della diversa angolazione delle tessere, che sono inserite manualmente, il che determina una superficie disomogenea e vibrante, grazie alla differente rifrazione della luce.

Le tecniche più moderne hanno permesso di velocizzare l’esecuzione del mosaico, tramite il sistema “indiretto”, che consente l’esecuzione contemporanea di diverse sezioni dell’opera, che vengono poi assemblate. La tecnica prevede l’incollaggio momentaneo delle tessere musive a testa in giù, su di un supporto provvisorio (carta resistente), con collanti reversibili e idrosolubili come la colla d’amido o di farina. La composizione ottenuta viene quindi allettata sul supporto definitivo, sul quale è stato steso uno strato di malta: il retro delle tessere è premuto nella malta ancora fresca, mentre il recto è trattenuto dalla carta incollata. La battitura della superficie consente una perfetta compenetrazione del mosaico nel supporto. Una volta rimossa la carta, la decorazione musiva dimostra una superficie omogenea con le tessere tutte in piano, orientate con la stessa angolazione.
La necessità di ampliare la gamma cromatica offerta dai marmi policromi e dai materiali disponibili in natura, per la composizione di mosaici nei quali si ricercavano effetti sfumati e pittorici, ha portato all’impiego di paste vitree, per la realizzazione di tessere musive.
Dalla fusione di una miscela di Silice (estratta dalla sabbia), fondenti e ossidi metallici (usati con la funzione di pigmenti), a temperature comprese tra i 700°C e i 1600°C e dal successivo raffreddamento a 900°C, si ottengono piastre o pizze di massa fusa, pressata fino allo spessore di circa 1-2 cm. Una volta portate a temperatura ambiente, le piastre di diverso colore erano tagliate con strumenti manuali chiamati tagliolo e martellina, mentre oggi si procede più celermente con moderni macchinari. Le tessere dorate sono invece ottenute inserendo una sottile foglia d’oro tra due vetri, dei quali, quello superiore, più sottile, si chiama “cartellina” e serve per la protezione del prezioso metallo. L’adesione tra il vetro e l’oro è garantita a caldo e sotto peso.
Il mosaico filato o Micro Mosaico Minuto Romano è ottenuto dalla fusione dello smalto ridotto in pezzi, che viene tirato e filato a mano con pinze da fuoco, fino ad ottenere delle bacchette dette teche. Le teche sono intaccate con la lima, in tanti segmenti e tagliate con le pinze, fino a ottenere le tessere del mosaico; per i micro mosaici in smalto si usano tessere fino a circa 1 mm per lato e la loro forma è diversificata, a seconda della forma che si assegna in origine alla bacchetta di smalto, al momento della filatura, ottenendo in tal modo ogni tipo di sagoma. Il mosaico filato fu utilizzato per la prima volta nel XVIII sec. per le pale d’altare di S. Pietro, per la ricerca di peculiari effetti artistici, come la dovizia di particolari e dettagli, per le composizioni con elementi figurativi. A differenza del mosaico lapideo il mosaico filato in pasta vitrea necessita di uno strato di allettamento a base di stucco ad olio, composto di polvere di travertino e calce spenta impastata con olio di lino cotto e crudo.

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